Ovunque si vada, ovunque si guardi è praticamente impossibile non vedere un oggetto o una parte di esso in materiale plastico.
La plastica, fin da quando è stata inventata, ci ha aiutato a migliorare e facilitare la nostra vita sotto molti aspetti. Con la plastica si sono ottenute, si ottengono e si otterranno soluzioni sostenibili ed economiche sia per il design che per l’innovazione. Basta pensare alla plastica nel settore auto: dapprima introdotta per sostituire solo parti estetiche ora utilizzata anche per parti funzionali per alleggerire i veicoli e ridurre i consumi; oppure alle bottiglie in PET che riciclate servono a produrre filati. Molteplici sono i settori in cui è presente la plastica: elettrodomestico, medicale, imballaggio, trasporti, edilizia ecc.
Quali le ragioni del suo successo?
Perché è versatile, leggera, sicura, durevole ed economica.
Spesso i media rimarcano il pericolo ambientale rappresentato dalla plastica, spesso senza contradditorio e senza enfatizzare che è l’uomo e non la plastica il vero pericolo.
A questo proposito cito da un articolo di Giuseppe Capparella, vicepresidente dell’Associazione Tecnici delle Materie Plastiche (TMP):
Circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica finiscono ogni anno nei mari di tutto il mondo. La soluzione non è mettere la plastica al bando, ma imparare a pensare a un corretto smaltimento, riciclo e riutilizzo. Perché è l’uomo il vero colpevole del disastro ecologico. La Giornata mondiale degli oceani è stata celebrata lo scorso otto giugno, attraverso una miriade di iniziative volte a sensibilizzare il mondo intero sulla salute dei mari, sottolineando come da essa dipendano il benessere dell’umanità e la sua stessa esistenza. Notiziari, documentari, interviste – peraltro accessibili anche nel web – da diversi anni ci mostrano come l’uomo sia riuscito, in meno di un secolo, a mettere in pericolo gli oceani agendo su tutti i fronti possibili.
Stiamo saccheggiando gli oceani con strumenti di pesca sempre più sofisticati, che porteranno alla scomparsa del pescabile entro la fine del secolo, non tanto per l’alimentazione umana ma per produrre farina di pesce da utilizzare come mangime animale. L’effetto serra sta aumentando non solo la temperatura dell’atmosfera ma anche quella dei mari che, assorbendo più anidride carbonica, sono diventati più acidi portando alla distruzione delle barriere coralline e alla morte di diversi tipi di molluschi. L’inquinamento acustico marino, dovuto all’aumento del traffico navale e ai sonar militari, è invece la causa dei molti spiaggiamenti di cetacei in tutto il mondo. E ancora, l’impiego intensivo di prodotti chimici in agricoltura, come i residui tossici non opportunamente trattati a terra, finiscono nei fiumi per poi giungere nei mari in maniera silenziosa, creando zone marine “morte” in diverse parti della Terra.
Ma, nonostante questo, nella Giornata mondiale degli oceani ho sentito parlare di un solo assassino: la plastica. È vero, le immagini di una tartaruga marina soffocata dalle reti da pesca o da un sacchetto della spesa, come quella delle isole di plastica galleggianti sugli oceani fanno rabbrividire, ma la plastica non è arrivata nei mari in totale autonomia. È stato l’uomo, che ora grida allo scandalo, a portarla fin là.
Solo un’informazione corretta e obiettiva, che non si limiti alla ricerca del titolo ad effetto, può far comprendere al cittadino chi sono i veri responsabili dell’inquinamento marino e costringerli ad affrontare e risolvere il problema.
Oltre ai documenti citati da Capparella nel suo articolo, penso siano di aiuto anche questi documenti editi da PlatiscsEurope: